Recesso anticipato illegittimo del conduttore

 

Nota a Cass. 5.5.2020 n. 8482

La quaestio del risarcimento del danno subito dal proprietario – locatore per effetto del recesso anticipato illegittimo del conduttore: un problema superato?
Nota a Cass. 5.5.2020 n. 8482

La S.C., nella sentenza n. 8482/2020 ha nuovamente affrontato la problematica del risarcimento del danno derivato dall’inadempimento del conduttore, costituito dal recesso ante tempus riconosciuto illegittimo, determinandolo nell’ammontare complessivo dei canoni locatizi concordati sino al reperimento di un nuovo conduttore (e, comunque, sino alla scadenza naturale del contratto di locazione).

La fattispecie oggetto della suddetta sentenza traeva origine dalla domanda di una Società conduttrice, che aveva evocato in giudizio il proprietario – locatore al fine di ottenere la declaratoria di risoluzione del contratto di locazione di immobile ad uso commerciale per via di alcuni inadempimenti contrattuali.

L’impresa locatrice resisteva in giudizio, assumendo che, al contrario, vi era un inadempimento della conduttrice, resasi morosa nel pagamento di alcuni canoni, per il pagamento dei quali aveva chiesto ed ottenuto l’emissione di un decreto ingiuntivo.

Il Tribunale, previa riunione di giudizi, nel rigettare le domande della Società conduttrice, la condannava al pagamento dei canoni maturati sino alla riconsegna dell’immobile.

In seguito, la Corte d’Appello, in accoglimento del gravame proposto dalla locatrice, condannava la Società conduttrice al pagamento degli ulteriori canoni locatizi dovuti a far data dal rilascio dell’immobile (e della sua riconsegna) sino a quella della scadenza naturale del contratto di locazione, in parte computando la differenza tra la misura del canone pattuita e quella – inferiore – concordata con altra Società con la quale, nel frattempo, aveva concluso una nuova locazione.

La Società conduttrice ricorreva in cassazione in ragione della prospettata violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1591 c.c (“Il conduttore in mora a restituire la cosa è tenuto a dare al locatore il corrispettivo convenuto fino alla riconsegna, salvo l’obbligo di risarcire il maggior danno”) e 1223 c.c. (“Il risarcimento del danno per l’inadempimento o il ritardo deve comprendere così la perdita subita come il mancato guadagno, in quanto ne siano conseguenza immediata e diretta”), adducendo che non poteva essere imposto al conduttore, in automatico, l’obbligo di corrispondere i canoni a fronte della mancata fruizione del bene, anche in considerazione del fatto che, ove ciò accadesse, il locatore non avrebbe alcun interesse alla rilocazione del bene, potendo contare su un’entrata sicura conservando la piena disponibilità di esso.

I Giudici di Piazza Cavour, nella sentenza n. 8482/2020, hanno fatto riferimento al disposto di cui all’art. 1611 del Codice Civile del 1865, giusta il quale “nel caso di risoluzione del contratto per colpa dell’inquilino, questi è obbligato a pagare la pigione per il tempo necessario ad una nuova locazione ed a risarcire i danni che fossero derivati dall’abuso della cosa locata”. Tale norma non è stata replicata dal Legislatore del 1942 in quanto, secondo la condivisibile opinione della dottrina, la questione sottesa poteva risolversi in applicazione del principio generale di cui all’art. 1453 c.c., con il contemperamento offerto dal disposto di cui all’art. 1227 c.c. (ignoto al precedente Legislatore).

Nella medesima sentenza, poi, si è rilevato che la problematica in esame riflette quella che, “si pone in ordine alla parametrazione funzionale della pretesa risarcitoria da inadempimento contrattuale, e cioè se l’art. 1453 c. 1 c.c. attribuisca alla parte che subisce l’inadempimento il diritto al risarcimento del danno conseguente alla lesione dell’interesse contrattuale positivo, o, all’opposto, un ristoro all’interesse contrattuale negativo”.

A riguardo, sono stati individuati due orientamenti della giurisprudenza di legittimità, che si distinguono per propendere a favore dell’una o dell’altra posizione circa la funzione del risarcimento da inadempimento contrattuale.

Il primo orientamento, maggioritario, si muove nel senso della risarcibilità dell’interesse positivo, riconoscendo al locatore non inadempiente il diritto di pretendere quanto avrebbe potuto conseguire se le obbligazioni fossero state adempiute, detratto l’utile ricavato – o che, con l’uso della normale diligenza, avrebbe potuto ricavare – dall’immobile nel periodo intercorso tra la risoluzione prematura ed il termine convenzionale del rapporto inadempiuto (per tutte, Cass. 12.2.2015 n. 2865).

Il secondo orientamento, ritenuto minoritario, è dato dalla sentenza n. 27614/2013 del 10.12.2013 – cui, da ultimo, ha aderito Cass. 1476/2017 –  secondo la quale, “a prescindere da qualsiasi considerazione di ordine probatorio, già in astratto deve escludersi che, avvenuta la risoluzione per inadempimento del conduttore a seguito del rilascio del bene, il locatore possa lamentare un danno per la mancata percezione dei canoni locativi che sarebbero stati esigibili fino alla scadenza del contratto oppure fino alla rilocazione”: e ciò perché il canone costituisce il corrispettivo dovuto a fronte della privazione di godimento del bene, di talché, se il bene rientra nella sfera del proprietario – locatore, questi non può pretendere un siffatto importo.

La Corte di Cassazione ha optato per il primo dei riportati orientamenti, avendo ritenuto che esso, “nel riconoscere la risarcibilità del pregiudizio pari all’incremento patrimoniale netto che la parte non inadempiente avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto e che non ha potuto conseguire per l’inadempienza dell’altra parte è più coerente con l’impostazione che … appare da preferirsi, che correla il risarcimento del danno da inadempimento all’interesse contrattuale positivo”.

Se si considera tale interesse, “il danno da risarcire non può non ritenersi rappresentato dall’ammontare dei canoni dovuti per la durata ulteriore della locazione ormai sciolta per inadempimento, senza che si possa prendere in considerazione la ripresa disponibilità della cosa, perché questa, finché non viene locata di nuovo, per il soggetto che aveva scelto di ricavare dal bene un reddito locatizio, non può rappresentare – o quanto meno non può a priori presumersi rappresenti – un effettivo e reale vantaggio a quello paragonabile”. 

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 La soluzione adottata nella sentenza oggetto del presente contributo propende per una sorta di automatismo risarcitorio – “sbilanciato” in favore del locatore – che non pare pienamente coerente con il disposto di cui all’art. 1223 c.c., a norma del quale, come noto, il risarcimento del danno comprende tanto la perdita subita quanto il mancato guadagno in quanto ne siano “conseguenza immediata e diretta”.

Non è dubbio che, per effetto dell’inadempimento del conduttore – concretatosi nel suo recesso ante tempus – sia stato cagionato un danno al locatore, che, ovviamente, giusta i principi, deve formare oggetto di risarcimento.

Peraltro, l’identificazione automatica di tale danno con l’ammontare dei canoni non percepiti dal locatore sino alla nuova locazione del bene (o sino alla naturale scadenza del contratto di locazione) non sembra considerare adeguatamente, da un lato, che la mancata rilocazione può essere ascrivibile a fatti oggettivi e reali (quali, ad esempio mutate contingenze economiche) come pure alla condotta negligente – o, semplicemente, passiva – del proprietario/locatore, evidentemente non interessato – alla luce del persistente obbligo del conduttore receduto a corrispondere i canoni locatizi – a siglare un nuovo contratto di locazione che lo priverebbe della (riottenuta) disponibilità del bene; e, dall’altro, che, comunque, giusta i principi, grava sulla parte creditrice l’onere di fornire la prova tanto del danno in sé quanto del nesso di causalità con la condotta inadempiente del debitore.

 Ciò che, invece, è stato ben considerato in un’altra pronunzia della S.C. (n. 530/2014 del 14.1.2014), cui, peraltro, è stato fatto riferimento nella sentenza in commento.

Nella sentenza in parola, parte locatrice – risultata soccombente nel giudizio di 2° grado, nel quale erano state respinte le richieste risarcitorie avanzate a seguito della risoluzione del contratto di locazione per inadempimento del conduttore – aveva adito il Giudice di legittimità assumendo la violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1223 c.c. (art. 360 n. 3 c.p.c.), oltre che la violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 c. 2 c.c., “per essere stato erroneamente configurato, in relazione alla norma indicata, un onere probatorio a carico di essa parte locatrice”. Sulla scorta di tali motivi, alla conclusione del ricorso erano stati formulati i seguenti quesiti: “1) dica la Suprema Corte se al locatore spetta il risarcimento del danno se la risoluzione anticipata del contratto di locazione è addebitatile all’inadempimento colposo del conduttore e se, in tale circostanza, il risarcimento deve comprendere i canoni dovuti sino alla scadenza naturale del contratto di locazione o alla vendita dello stesso; 2) dica la Suprema Corte se sia onere del conduttore inadempiente, il quale pretende di non risarcire in tutto o in parte il locatore per la risoluzione anticipata del contratto di locazione, di provare il concorso del fatto colposo del locatore nella produzione dell’evento dannoso, costituito dal mancato guadagno per l’accertata mancata locazione dell’immobile successivamente al suo rilascio“.

La Corte territoriale aveva negato al locatore il pagamento di una somma corrispondente all’importo dei canoni che sarebbero stati corrisposti sino alla naturale scadenza del rapporto locatizio a titolo di risarcimento del danno per l’anticipata risoluzione del contratto, in quanto “la proprietaria locatrice non aveva provato e neppure dedotto di essersi attivata per evitare o almeno limitare il danno in ossequio a quanto previsto dall’art. 1227 c. 2 c.c., quantomeno cercando, senza successo, di reperire un altro conduttore oppure riuscendo a concludere un altro contratto, ma per un canone di minore entità”.

I Giudici di legittimità, investiti della questione, da un lato, hanno rilevato che il fulcro della decisione adottata dalla Corte territoriale è costituito dalla considerazione che “la semplice circostanza che l’immobile non sia stato più locato non può fondare, di per sè, il diritto al risarcimento“, precisando, altresì, che “la decisione – sicuramente conforme a diritto, laddove esclude qualsiasi automatismo tra la mancata locazione del bene e la pretesa risarcitoria – richieda di essere puntualizzata e integrata, nel punto in cui la Corte territoriale, facendo leva sul disposto dell’art. 1227 c. 2 c.c., sembrerebbe alludere ad un’eccezione in senso stretto che andava opposta e provata dal debitore che intenda avvalersene”.

Tale principio è fondato sul fatto che  “l’art. 1453 cod. civ. …. ricomprende, tra i danni risarcibili, anche il mancato guadagno, se e in quanto costituisca conseguenza immediata e diretta ex art. 1223 cod. civ. dell’evento risolutivo ….. Si tratta di un danno potenziale e futuro, la cui concreta risarcibilità ….. postula l’effettività della lesione dell’interesse del creditore all’esecuzione del contratto …… Il che postula che, una volta ottenuta la disponibilità materiale del bene, il locatore abbia effettivamente rimesso l’immobile sul mercato delle locazioni, non essendo, altrimenti, possibile profilare l’esistenza di un danno che trovi fonte nell’inadempimento del debitore”

In tale prospettiva, secondo i Giudici di legittimità, “in applicazione del principio generale che onera la parte creditrice della specifica dimostrazione dell’esistenza del danno, deve ritenersi che gravi sul locatore l’onere della prova di avere inutilmente tentato di locare l’immobile ovvero della sussistenza di altre analoghe situazioni pregiudizievoli …. dando conto dei concreti propositi di utilizzazione dell’immobile, atteso che la relativa dimostrazione, anche in ragione del criterio di vicinanza della prova, non può far carico al conduttore”. Di conseguenza, ad avviso dei Giudici di Piazza Cavour, il richiamo operato dal Giudice di 2° grado al disposto di cui all’art. 1227 c. 2 c.c. è stato effettuato impropriamente, in quanto tale norma, nella fattispecie, “ha un valore meramente descrittivo del criterio da seguire nell’apprezzamento della condotta delle parti, in coerenza con la clausola generale di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. che presiede la materia delle obbligazioni e, prima ancora di profilare una riduzione dell’area risarcibile in ragione dell’evitabilità del danno, risulta assorbito dal rilievo dell’inesistenza dello stesso danno risarcibile per il mero fatto della mancata locazione, atteso che tale circostanza – in difetto di prova, necessariamente incombente alla parte istante, in ordine alle determinazioni assunte circa l’utilizzo dell’immobile – non può automaticamente ascriversi all’evento risolutivo imputato al conduttore”.

La sentenza in esame, sulla scorta dei tali argomentazioni, giunge poi a ritenere che, “una volta intervenuta la risoluzione anticipata per inadempimento del conduttore e cessata, altresì, l’occupazione dell’immobile, il danno risarcibile al locatore (id est, l’effetto pregiudizievole, conseguente alla risoluzione anticipata) a titolo di lucro cessante è rappresentato dalla mancata percezione di un introito mensile per tutto il tempo presumibilmente necessario per poterlo nuovamente locare, in relazione al quale un obiettivo parametro di riferimento può essere utilmente individuato, salvo prova diversa, nel periodo di preavviso previsto per il recesso del conduttore.

La soluzione offerta dalla sentenza testé citata presta forse il fianco a qualche perplessità nella parte in cui individua il lucro cessante risarcibile in favore del locatore nella mancata percezione di un canone per tutto il tempo presumibilmente necessario per poter nuovamente locare l’immobile, identificandolo (aprioristicamente) nel periodo di preavviso previsto ex lege per il recesso del conduttore.

Ma, presumibilmente, coglie nel segno laddove specifica che il risarcimento del danno costituito dalla mancata percezione dei canoni per il tempo successivo al recesso deve essere necessariamente subordinato alla circostanza che la mancata rilocazione sia dipesa da causa diversa dalla volontà di non locare nuovamente l’immobile da parte del proprietario – locatore, tenuto a fornire la prova di aver inutilmente tentato di locare l’immobile, con conseguente irrilevanza, sotto questo profilo, del disposto di cui all’art. 1227 c. 2 c.c..

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Conclusivamente, le problematiche connesse alla risarcibilità dei danni subiti dal proprietario/locatore per effetto del recesso illegittimo del conduttore non paiono essere state definitivamente risolte dalla sentenza n. 8482/2020; considerate le oscillazioni giurisprudenziali di cui si è dato atto, sembrerebbe opportuno, a questo punto, un intervento delle Sezioni Unite, tanto più opportuno se si considera l’attuale fase di emergenza sanitaria globale, con la conseguente situazione di crisi economica e sociale che potrebbe determinare la chiusura di molte attività aziendali, con prevedibili ripercussioni nel mercato delle locazioni. Ripercussioni che, ragionevolmente, solo in parte potranno essere mitigate dalla norma contenuta nel cd. Decreto Cura Italia (D.L. 18/2020, convertito nella L. 27/2020), secondo la quale “il rispetto delle misure di contenimento è sempre valutata ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli artt. 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connessi a ritardati o omessi adempimenti

 

Avv. Stefano Roveta  

 

 

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