Sulla risoluzione del rapporto di lavoro per mutuo consenso e/o per fatti concludenti
la prescrizione dei crediti dei lavoratori
Alcune osservazioni a margine della sentenza del Tribunale di Udine n. 20 del 27.5.2022
Il Tribunale di Udine, con la recentissima sentenza indicata in epigrafe, ha affrontato il tema della risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti, in assenza di un formale atto di recesso delle parti.
Di seguito, si riassume sommariamente la fattispecie che ha dato origine alla decisione.
Una lavoratrice, nell’ambito di un rapporto di lavoro in essere da molti anni, era rimasta assente ingiustificata per oltre 6 mesi, dopo aver fruito di un periodo di ferie. Il datore di lavoro, dopo aver contestato l’addebito (senza, però, irrogare alcuna sanzione), chiedeva chiarimenti all’interessata, invitandola poi a dimettersi; questa, peraltro, rispondeva dicendo di non averne alcuna intenzione, essendo, semmai, la sua datrice di lavoro a doverla licenziare.
L’impresa, quindi, comunicava al Centro per l’Impiego la cessazione del rapporto di lavoro per dimissioni; la lavoratrice, peraltro, qualificava l’iniziativa datoriale come licenziamento orale, che, nei termini di legge, impugnava con ricorso ex L. 92/2012, richiedendo la tutela di cui all’art. 18 L. 300/1970.
Il Tribunale di Udine ha rigettato il ricorso proposto dalla lavoratrice, in quanto – nell’escludere che il rapporto di lavoro si fosse risolto per licenziamento o per dimissioni – ha ritenuto di poter ravvisare “nel comportamento concretamente tenuto dalle parti ….. la sintomatica manifestazione di una reciproca e convergente volontà …. di non dare più seguito al contratto di lavoro, determinandone, così, la risoluzione per fatti concludenti”.
La sentenza segnalata – Estensore Dott. Fabio Luongo – esamina una fattispecie piuttosto comune nella pratica, costituita dal fatto che molti lavoratori, dopo aver deciso volontariamente di porre fine al proprio rapporto di lavoro, non rassegnano le proprie dimissioni, ma inducono il datore di lavoro a licenziarli, per il tramite di condotte manifestamente inadempienti (rectius, assenze ingiustificate per diversi giorni): e ciò al (malcelato) fine di percepire la NASPI. L’impresa, quindi, è, di fatto, obbligata ad intimare il licenziamento, pagando il relativo ticket.
In linea di fatto, il Tribunale di Udine ha svolto un’approfondita attività istruttoria funzionale a verificare la volontà effettiva delle parti, concludendo, da un lato, che la lavoratrice “ha voluto porre fine al rapporto di lavoro di sua iniziativa, avendo palesato tale intento alla sua responsabile e non essendo più rientrata al lavoro dopo le ferie”; e, dall’altro, che “il contegno tenuto dalla società ….. nell’aver preso atto dell’assenza della sua dipendente, non corrispondendole più la retribuzione, salvo invitarla …. a dimettersi in via definitiva, evidenzia il sostanziale disinteresse …. rispetto ad una eventuale esigenza di prosecuzione del rapporto di lavoro”. In sostanza, pur in difetto di una corretta formalizzazione delle dimissioni, si è ravvisato nel comportamento complessivamente tenuto dalle parti “la sintomatica dimostrazione di una reciproca e convergente volontà …. di non dare più seguito al rapporto di lavoro, determinandone la risoluzione per fatti concludenti”.
In linea di diritto, sono state poi svolte alcune (convincenti) considerazioni.
In primo luogo, si è dato atto del fatto che, secondo l’orientamento della S.C., “l’assenza dal lavoro ingiustificata di per sé sola non presenta il carattere della univocità tale da consentire di ravvisarvi la volontà di dimissioni”, dovendo ritenersi che tale volontà si possa desumere non da una sola condotta (ancorché significativa), ma, in generale, da “un contesto idoneo ad ingenerare un valido affidamento”, che deve concretarsi in una pluralità di fattori.
Il Giudice friulano ha poi esaminato l’attuale normativa in tema di dimissioni, rilevando come essa non escluda la possibilità di una risoluzione del rapporto di lavoro per fatti concludenti.
Ed infatti, si è ricordato che l’obbligo di rassegnare le dimissioni telematicamente (art. 26 D. Lgs. 151/2015) è stato introdotto allo scopo di contrastare il (riprovevole) fenomeno delle cd. dimissioni in bianco; ma tale esigenza di tutela non si pone quando il comportamento concludente tenuto in concreto dagli interessati non consente di dubitare della volontà delle parti.
Il Giudice del merito, poi, ha anche rilevato come la legge delega del Jobs Act (L. 183/2014) aveva previsto che, in materia di dimissioni, fosse tenuta in considerazione la necessità “di assicurare la certezza della cessazione del rapporto di lavoro nel caso di comportamento concludente della lavoratrice o del lavoratore” (art. 1 c. 5 – 6). Il Legislatore delegato, peraltro, nulla ha previsto sul punto, disattendendo, così, alle prescrizioni imposte.
In mancanza di una apposita disposizione, il Tribunale di Udine ha concluso nel senso che non può ritenersi preclusa la fattispecie della risoluzione per fatti concludenti del contratto di lavoro, anche alla luce del generale disposto di cui all’art. 1372 c.c., tanto più in ragione del fatto che, diversamente opinando (cioè, ritenendo preclusa la possibilità di una risoluzione del contratto di lavoro per mutuo consenso o per fatti concludenti) si finirebbe per giustificare la violazione di principi rilevanti costituzionalmente: il principio di cui all’art. 41 Cost. (con l’imposizione “implicita” di licenziare un dipendente anche se non vuole farlo ed in presenza di comportamenti concludenti di quest’ultimo) e il principio di cui all’art. 38 Cost., in quanto, con il licenziamento sollecitato strumentalmente dal lavoratore (e con la corresponsione a questo della NASPI), si avrebbe una “ingiusta sottrazione di risorse da destinarsi solo a vantaggio di quei lavoratori con effettivo diritto” (cioè, in stato di disoccupazione involontaria), a beneficio di altri lavoratori che, invece, si trovino in stato di disoccupazione in forza di una loro libera scelta, nient’affatto subita.
La sentenza del Tribunale di Udine ha il merito di affrontare, in modo approfondito, una problematica che si propone troppo spesso nella prassi, determinando incertezze operative e difficoltà pratiche, fornendo una lucida e condivisibile chiave di lettura della quaestio: tuttavia, nella perdurante assenza di un intervento legislativo – pur (vanamente) sollecitato nella Legge delega (L. 183/2014) – si reputa preferibile, in tali situazioni, procedere al licenziamento del lavoratore resosi responsabile di comportamenti inadempienti, anche al fine di evitare possibili strascichi giudiziari, che, ovviamente, continuerebbero ad essere forieri di costi e dall’esito incerto.
Avv. Stefano Roveta