Alcune considerazioni a margine della sentenza n. 386/2022 del 30.6.2022 del Tribunale di Bergamo

 

Il difficile inquadramento delle collaborazioni coordinate e continuative

Secondo l’art. 409 n. 3 c.p.c., sono qualificati come rapporti di collaborazione – cui si applicano le disposizioni processuali del rito del lavoro – quelli che “si concretano in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato”: è ben noto che la materia delle cd. collaborazioni coordinate e continuative, ormai da decenni, ha costituito oggetto di accese discussioni, generando un rilevantissimo numero di contenziosi giudiziari, stimolati anche, negli anni, da interventi legislativi non sempre chiari.

 Da ultimo, il D. Lgs. 81/2015, nel porre fine alla lunga stagione dei contratti di collaborazione a progetto (avviata con la novella di cui al D. Lgs. 276/2003), da una parte, ha fatto esplicitamente salvo “quanto disposto dall’art. 409 c.p.c.”; dall’altra, ha previsto, all’art. 2 c. 1, che, “a far data dall’1.1.2016, si applica la disciplina del rapporto di lavoro subordinato anche ai rapporti di collaborazione che si concretano in prestazioni di lavoro prevalentemente personali, continuative e le cui modalità di esecuzione sono organizzate dal committente”, precisando (opportunamente) che tale disposizione si applica “anche qualora le modalità di esecuzione della prestazione siano organizzate mediante piattaforme anche digitali”.

Il secondo comma della norma in parola, poi, indica alcune eccezioni (per le quali, quindi, NON trovano applicazione le norme del lavoro subordinato) tra le quali “le collaborazioni per le quali gli accordi collettivi nazionali stipulati da associazioni sindacali comparativamente più rappresentative sul piano nazionale prevedono discipline specifiche riguardanti il trattamento economico e normativo, in ragione delle particolari esigenze produttive ed organizzative del relativo settore” (lett. a) o “le collaborazioni prestate nell’esercizio di professioni intellettuali per le quali è necessaria l’iscrizione in appositi albi professionali” (lett. b).

 In questo quadro, è collocata la vicenda sottoposta al vaglio del Tribunale di Bergamo (a dire il vero, analoga a moltissime altre): essa riguarda il caso di una lavoratrice determinatasi ad agire giudizialmente per far accertare la natura subordinata del rapporto di lavoro intercorso con la Società presso la quale ella aveva lavorato (un’azienda erogatrice di servizi telefonici), qualificato, formalmente, come un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa.

In particolare, la lavoratrice affermava di aver svolto la propria attività lavorativa, in via stabile (per oltre 1 anno), presso lo stand di un centro commerciale, con l’incarico di promuovere la conclusione di contratti di telefonia, con giorni ed orari fissi e predefiniti, sulla scorta delle direttive e delle istruzioni fornite dalla Società, per mezzo di un proprio responsabile d’area.

 Il Tribunale di Bergamo, rifacendosi alla nota sentenza della S.C. n. 1663/2020 (caso Foodora), ha accolto la domanda della ricorrente, ritenendo sussistere, nella fattispecie, il requisito della cd. etero-organizzazione, richiesto dall’art. 2 c. 1 cit., che consiste, di fatto, nel potere del committente di determinare unilateralmente le modalità di esecuzione della prestazione lavorativa, senza però sconfinare nell’esercizio del potere direttivo, gerarchico e disciplinare, proprio del lavoro subordinato vero e proprio.

 Secondo la sentenza in commento, l’attività lavorativa della ricorrente era da ritenere senz’altro etero-organizzata dalla committente – nei termini indicati dalla Suprema Corte – “trattandosi di prestazione prevalentemente personale, le cui modalità di svolgimento, quanto a tempi e luoghi di svolgimento della prestazione erano fissate in via esclusiva dalla stessa Società” (che, da proprio canto, non ha fornito la prova che “tali aspetti fossero completamente autodeterminati dalla lavoratrice ….”).

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 Nella realtà odierna, l’eccezionale sviluppo delle nuove tecnologie ha favorito il proliferare di lavori free lance e di contratti a breve termine e/o di collaborazioni (più o meno) coordinate: è la cd. Gig Economy, cioè, sostanzialmente, un’economia connotata dalla sempre crescente prevalenza di lavoratori saltuari e discontinui e, parallelamente, da una costante diminuzione del numero di occupati impiegati in maniera stabile.

 L’applicabilità delle disposizioni del lavoro subordinato anche alle collaborazioni etero – organizzate, prevista dell’art. 2 c. 1 D. Lgs. 81/2015 – accordata, secondo Cass. 1663/2020, “per rimediare ad una situazione di particolare debolezza contrattuale, diffusa tra le collaborazioni” – impone alle imprese una particolare cautela nell’instaurare siffatti rapporti, occorrendo, per la loro genuinità, che non vi sia una concreta ed effettiva ingerenza nella determinazione delle modalità esplicative delle prestazioni dei collaboratori. A questi ultimi, lo studio, forte di una lunga esperienza maturata sul campo, è in grado di fornire indicazioni e suggerimenti, in funzione della valutazione della possibilità di intraprendere una specifica vertenza per la rivendicazione di eventuali diritti, anche retributivi.

 Avv. Stefano Roveta  

 

 

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